I molti volti del Giappone: Bambole meccaniche e robot, come il Giappone vuole vincere la guerra con il tempo

I molti volti del Giappone: Bambole meccaniche e robot, come il Giappone vuole vincere la guerra con il tempo

Relatori: Chiara Ghidini e Antonio Moscatello

Dal 15 al 17 novembre 2019 la Libreria Rotondi ha organizzato una importante manifestazione sulla cultura giapponese articolata in più eventi: conferenze, incontri, esposizione di artigianato ed oggettistica giapponese, tra cui una raffinata selezione di kokeshi, haori, ceramiche e porcellane di Tajimi.
L’evento è stato patrocinato dall’Istituto Giapponese di Cultura e realizzato con la collaborazione di Kimono Flaminia e Bibliotèq.

Chiunque abbia assistito a una rappresentazione di teatro Bunraku non può non aver apprezzato la perfezione dei movimenti di quelle che sono, alla fin fine, marionette di legno. I loro volti riescono persino a simulare emozioni. I giapponesi amano il dettaglio, sono affascinati dalla capacità di riprodurre in maniera iperrealistica la figura umana, di creare perfetti simulacri dell’uomo. E questo impulso è stato trasmesso in maniera diretta dalle bambole (ningyō), con la funzione di talismani, feticci, modelli medici e fantasia erotica, ai robot.

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Tra il XVII e il XIX secolo non era raro che agli ospiti nelle case dei ricchi il tè potesse essere servito da bambole automatizzate chiamate karakuri ningyō. Ne esistevano di tipi diversi: c’erano quelle portate in scena nel teatro Kabuki, c’erano bambole che scagliavano frecce centrando sempre il bersaglio. Verso la fine dell’epoca Edo si arrivò addirittura a sperimentare i movimenti idraulici, anticipando così tecnologie alla base della cinetica dei robot umanoidi di oggi. Ciò che colpisce del grande sviluppo della robotica in Giappone è il suo ossessivo tentativo di produrre automi “umani”. È noto che la gran parte della produzione robotica è destinata all’industria ed è fatta di automi che vanno nelle catene di montaggio. Ma in Giappone la tendenza a spingere con forza questa tecnologia verso l’”umano” è molto più spiccata che altrove.

Molti conoscono Asimo, il robot umanoide della Honda, capace di cantare, riconoscere i volti, correre, ballare. Accanto a lui è cresciuta una generazione di automi utilizzati nei settori dell’entertainment (ballerine o cantanti), della moda (mannequin), della cura degli anziani (infermiere), della sfera religiosa (monaci buddhisti) e ovviamente del sesso. Se dietro la spinta ad avere robot sempre più “umani”, con una sorta di “identità”, c’è una radice culturale profonda, però, dietro il trend a produrre sempre più robot e a diffonderli nei settori economici si cela un’esigenza eminentemente contemporanea. Il Giappone invecchia a tassi preoccupanti e la crisi demografica rende complicato mantenere alta la capacità produttiva. Allo stesso tempo, il paese appare refrattario a procedere a un’apertura all’immigrazione. E, così, la via è quella di sostituire forza lavoro umana con robot per risolvere questioni nazionali o addirittura globali. È una scelta sostenibile? Quale impatto sociale potrà avere sul paese? Solo il tempo potrà dirlo.

Chiara Ghidini insegna Religioni e Filosofie dell’Asia orientale all’Università di Napoli L’Orientale. È laureata presso lo stesso Ateneo ed è PhD all’Università di Cambridge. Ha pubblicato due monografie sulla storia culturale del Giappone e diversi articoli sulla storia culturale dell’Asia orientale. Recentemente ha pubblicato come co-autrice un libro sulla storia della scelta vegetariana tra Asia ed Europa per Ponte alle Grazie.

Antonio Moscatello, pugliese, ha 49 anni ed è giornalista all’agenzia di stampa Askanews per la quale si occupa di Asia. Laureato all’Orientale di Napoli, ha studiato e vissuto in Giappone. È stato inviato in teatri di conflitto in Medio Oriente e corrispondente da Tokyo e da Budapest. Nel 2014 ha pubblicato il romanzo Il lupo. Nel 2017 ha dato alle stampe Megumi-Storie di rapimenti e spie della Corea del Nord, un libro-inchiesta sui rapimenti effettuati in Giappone dalle spie nordcoreane e, recentemente, Forse non tutti sanno che in Giappone per la Newton & Compton. Nel 2018 ha ottenuto il premio “Umberto Agnelli” per il giornalismo.