Il «Libretto d’alchimia» che si ripropone in questa collana è un codice plumbeo d’incerta datazione che, trovato nella biblioteca di Scipione Lapi, fu stampato, quasi alla macchia, nel 1910. Una certa notorietà gli venne dal comportamento che Arturo Reghini (Pietro Negri) gli dedicò uno dei fascicoli di UR. Quel commento, con tutte le sue implicazioni ermetico-massoniche, viene qui riprodotto in appendice. Di fatto, però, il “Libretto”, con le sue incisioni naif, è rimasto un oggetto nascosto, perché le immagini dell’originale non furono riprodotte da Reghini, e perché, in pratica, il libro diventò introvabile. L’attuale riedizione permetterà quindi di riscoprire tutto l’apparato iconografico che sarebbe altrimenti andato disperso. Oltre questo il “Libretto”, ristampato nella sua totale integrità, offre la lettura di due introduzioni d’epoca che permettono d’analizzare la scarsa sapienza metaforica di un mondo accecato dal più grossolano positivismo. Dal libretto d’alchimia emerge l’incisione della III tavola che rappresenta, con voluta sciatteria, la splendida metafora dell’androgine. Proprio sull’androgine che esprime una delle “eccellenti” esemplificazioni della tecnica alchemica il lettore è invitato a riflettere. Un’introduzione di Stefano Andreani, che ha curato l’edizione, ricorda alcuni dei possibili significati dell’androgine e, brevemente, le sue possibilità simboliche.